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BIOTETTURA IN ITALIA ( giugno 2016)

Quanto descritto riprede alcune riflessioni che necessitano di  approfondimenti  tecnici per costruire sul territorio italiano.

Una Earthship è a tutti gli effetti  una casa.  Per costruire una casa in Italia  vanno rispettati dettami normativi ingegneristici/architettonici/impiantistici a cui si aggiungono nel caso specifico materiali da costruzione non convenzionali.

Il Sistema delle costruzioni, per definizione è un “sistema complesso”  che   per le funzioni che viene chiamato ad assolvere, è anche intimamente connesso a due ambiti – e filoni normativi – di grande importanza:

- Il Testo Unico della Sicurezza

- Il Testo Unico Ambientale

Qualsiasi progetto proposto in ambito italiano– pur in veste preliminare – dovrà prendere in considerazione le implicazioni che il dettato normativo e legislativo vigente induce sulla realizzazione del bene.

Si riportano a seguire le più evidenti “criticità” finora riscontrate, lasciando al lettore la possibilità di studio tecnico e  disamina a livello normativo degli aspetti citati :

- l’applicazione delle Norme Tecniche sulle Costruzioni (NTC2008)

-uso dello pneumatico in edilizia e gestione in materia ambientale

- l’autocostruzione e la gestione della sicurezza nelle fasi esecutive

 

Le Norme Tecniche sulle Costruzioni

Il modello tradizionale di Earthship  prevede l’impiego di una struttura a telaio in legno con appoggio antistante su cordoli formati da pneumatici e retrostante su un muro con duplice funzione di ritenuta del terreno e sostegno dei carichi verticali trasferiti dalla copertura.

Il D.M. 14 gennaio 2008 (NTC 2008) non consente la classificazione dello pneumatico quale materiale da costruzione per impiego strutturale.

Un qualsiasi  progetto proposto in Italia deve prevedere l’intera struttura portante con sistema a telaio in legno e fondazione in calcestruzzo armato gettato in opera, così da poter ottemperare appieno ai dettami normativi vigenti in materia.

La realizzazione della massa termica mediante impiego di muri con utilizzo di pneumatici, pur indispensabile ai fini energetici e di auto-sostenibilità, verrà deputata al solo ruolo di contenimento del terrapieno, sulla scorta delle risultanze degli studi e degli esperimenti condotti e divulgati da alcuni ingegneri americani, oltre che alle evidenze portate dalle prime tesi di laurea sviluppate sullo specifico argomento presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Parma.

 

Il Testo Unico Ambientale

Come già accennato, per le caratteristiche intrinseche del concept  Earthship, sono necessari approfondimenti di merito circa l’inquadramento normativo dei materiali di riuso impiegati nella costruzione: pneumatici, bottiglie di vetro e lattine in alluminio.

I pneumatici: l’impiego

Non compongono soltanto la parete contro terra portante, ma anche la base per l'ambiente serra antistante, rivolto a sud, costituendo il confinamento dell'attacco della struttura in assi di legno atti a portare la vetrata di questo ambiente “cuscinetto”.

Subito dietro gli pneumatici c'è della terra: essa non è direttamente quella del terreno retrostante, si tratta di uno strato di circa 1,5 metri di spessore che aiuta la parete a funzionare come batteria termica. Lo strato è contenuto tra gli pneumatici e lo strato di isolamento termico, con spessore indicativo pari a 100 mm, a sua volta protetto dalla membrana di impermeabilizzazione (posta a completo incapsulamento dell'edificio) che si trova a contatto col terreno in pendenza.

Avere la parete di pneumatici completamente ricoperta e riempita di terra garantisce anche (sebbene risulti anti-intuitivo) aspetti di sostenibilità e resistenza al fuoco. Il pneumatico di per sé è altamente infiammabile, ma questo è dovuto al contatto diretto con l'ossigeno. Nella prassi costruttiva del modello Earthship all'ossigeno è invece totalmente impedito il contatto con la struttura di copertoni, né la circolazione tra di essi.

Le bottiglie di vetro e le lattine in alluminio: l’impiego

Il pneumatico è il materiale guida dell'Earthship, ma è ben lontano da essere l'unica forma di "rifiuto" riutilizzata in questo edificio. Il concetto generale è di tentare di reimpiegare più materiali di rifiuto possibile: l’uso delle bottiglie in vetro e delle lattine in alluminio, integrate in un impasto di sabbia, terra, acqua e paglia denominato Adobe, offre infatti l'opportunità di sperimentare dei "mattoni alternativi" utilizzati per le pareti divisorie (non portanti) tra gli ambienti dell'edificio. Per poterle costruire, si montano delle vere e proprie cornici, composte da assi in legno di scarto, che fungono da supporto. Non si tratta di casseforme, ma di strutture che rimangono integrate nell'edificio. La preparazione per l’uso delle bottiglie in vetro prevede il solo uso dei fondi di bottiglia: il procedimento prevede che dopo aver tagliato a metà la bottiglia, lungo il lato più corto, si sciacqui in un secchio e successivamente venga ben asciugata. Il “mattone” è composto da due di questi elementi di identico diametro. Essi sono tenuti insieme da un nastro adesivo resistente in plastica e non vengono ricoperti completamente (come per le lattine), ma lasciati scoperti dall'intonaco. Naturalmente è necessario che siano tutti livellati verticalmente per l'omogeneità della superficie.

Il riuso impiegato ha un duplice significato in questo edificio:

- il primo è che facendo uso di materiali che sono già disponibili, si interrompe parte del processo di produzione e si riduce l'energia che sarebbe spesa per l'ottenimento di nuovi materiali;

- il secondo è che il bisogno dell'approvvigionamento diretto di materiali vergini è ridotto a zero.

Il Codice ambientale dedica particolare cura alle definizioni delle diverse modalità di intervento e ai criteri di priorità secondo i quali va impostata la corretta gestione della end of/ife dei prodotti, con particolare attenzione agli pneumatici.

La definizione più generale, che ne comprende molte altre, è quella di "recupero".

L'articolo 183, comma 1, lettera t) del D.Lgs.152/2006 lo definisce come «qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo nuovo, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale».

In altre parole, il recupero del rifiuto, comprende tutto l'arco di interventi che possono influire sul risparmio di materia prima, sia sostituendo direttamente materiali che sarebbero stati utilizzati per funzioni particolari o preparando i rifiuti ad assolvere tale funzione.

Rientrano quindi nell'ampio concetto di recupero tutte le operazioni e lavorazioni che hanno come oggetto la finalità ultima del risparmio di materia: la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero di energia o di altro, comprese le operazioni quali cernite e diversi trattamenti tecnici dei materiali.

La cosa più interessante del concetto di recupero è che «[…] un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici […]».

L'articolo 184-ter, specifica infatti così le caratteristiche di "Cessazione della qualifica di rifiuto".

Continua però a mancare il decreto attuativo del Ministero dell'ambiente che deve stabilire tali criteri, indicati solo sommariamente dal Codice ambientale come: comune utilizzo per scopi specifici, esistenza di un mercato, rispetto della normativa tecnica di settore e mancanza di impatto complessivo negativo sull'ambiente e sulla salute.

Stanti questi presupposti, e in attesa delle indicazioni, continuano ad applicarsi le disposizioni normative già in vigore da alcuni anni relative al recupero dei rifiuti in maniera semplificata (DM 5 febbraio 1998 per i rifiuti non pericolosi, in relazione alle quali è ammesso, ad esempio, l’utilizzo del PFU per impieghi differenti dalla filiera d’origine – es. parabordi – ma, in ogni caso, non nel settore dell’edilizia).

Ogni intervento a valle della prima azione di recupero non è dunque più un'azione sui rifiuti, ma sui materiali: infatti, come specifica il Codice Ambientale, «la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto». E da questo punto di vista, anche il semplice controllo dei rifiuti per verificare se soddisfano i criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto rappresenta una operazione di recupero.

Dal momento in cui un rifiuto cessa di essere tale, è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dagli atti di recepimento delle normative comunitarie, sempre a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia da essi stabiliti. D'altra parte, costituisce limite preciso al concetto di recupero lo "smaltimento", che il Codice definisce come: «qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l'operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia».

Per quel che riguarda la pericolosità non ci sono equivoci: il Codice europeo dei Rifiuti stabilisce chiaramente che i PFU (Pneumatici fuori uso) cui è attribuito il codice CER 16 01 03 sono rifiuti NON pericolosi, come risulta dall'allegato D alla Parte IV del D.Lgs.152/2006 e ss.mm.ii.

Altrettanto può dirsi rispetto alla provenienza: i PFU si configurano quali rifiuti speciali

In definitiva, se adeguatamente isolati dal terreno e con una certificazione di idoneità tecnica, parrebbe nulla possa impedire agli pneumatici di poter essere riutilizzati come materiale da costruzione.

Il consiglio in fase di progettazione è di avviare, mediante sottomissione di dati fondati e proposte scientificamente valide, un tavolo tecnico di confronto preventivo con ARPA e NOE.

Il Testo Unico in materia di Sicurezza e la Prevenzione Incendi

La Gestione delle fasi realizzative

L’inquadramento della “fase di cantiere” è senza dubbio da ricondursi alla regolamentazione del Titolo IV del D.Lgs.81/2008 e ss.mm.ii.

Chiunque voglia procedere alla costruzione di un modulo Earthship  provvederà pertanto alla designazione di un Responsabile dei Lavori (RL) che, a termini di legge, provvederà alla nomina di un Coordinatore della Sicurezza in fase di Progettazione (CSP) e di Esecuzione (CSE).

Pur prevedendo la presenza in cantiere di alcune imprese specializzate in possesso di idonea capacità tecnico-professionale e da impiegarsi preminentemente per le realizzazioni di carattere strutturale ed impiantistico, costituirà caratteristica peculiare della fase esecutiva la presenza in cantiere di Soci volontari che, provenienti da più parti di Italia (e, con ogni probabilità, nella forma di “permanenza in campeggio” presso l’area di cantiere), contribuiranno attivamente alle fasi esecutive ( come avviene nei cantieri EB).

Si delinea pertanto il tema della gestione della sicurezza nei cantieri di autocostruzione e di autorecupero, tema la cui disciplina, se non delineata chiaramente dai disposti della normativa nazionale, inizia ad affiorare in alcune emanazioni Regionali (cfr. ad esempio il DGR Toscana n.1945/2012).

Stante l’esistenza sul territorio nazionale di associazioni che già da tempo si adoperano in questo campo (a titolo di esempio, A.R.I.A. FAMILIARE – Associazione Rete Italiana Autocostruzione Familiare, che si muove nell’ambito dell’autocostruzione di edifici in legno e paglia), chiunque vorrà approcciare a questa modalità costruttiva dovrà fare  approfondimenti in ambito normativo e quindi procedere alla condivisione di tale approccio con S.Pre.S.A.L.  e ASL  locali.

Premesso che tali informazioni non vogliono essere fonte di consulenza e tantomeno dati di approfondimento ma semplici spunti di riflessione.

Chiunque abbia a disposizione maggiori informazioni su queste tematiche non esiti ad aiutarci.

Al momento stiamo progettando una Earthship sperimentale proprio per superare più facilmente alcuni aspetti normativi insuperabili ( quali l'ottenimento dell'abitabilità).

Siamo tutti volontari per uno scopo!

Grazie 

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